Uncinetto è sempre stata una parola importante in famiglia. Sono erede di tessitrici e sarti. Sono figlia d’arte, si direbbe in gergo. Ma di filo e strumenti per tessitura non ne ho mai voluto sapere. Ho creduto fino all’età di 29 anni che con le dita si potessero sfogliare solo i libri. Suono il pianoforte, ma mai mi sono meravigliata delle innumerevoli cose che le mani riescono a fare. Mi sono laureata e studiare mi piaceva moltissimo.

Ero insomma fautrice dell’intelletto, non della manualità.

Mia nonna aveva tentato innumerevoli volte da piccola di insegnarmi l’uncinetto e il ricamo, ma io reputavo la cosa poco “adatta” a me… Mio nonno era sarto, la mia bisnonna era stata tessitrice di telaio e ha lavorato all’uncinetto fino a 94 anni.

Ho un corredo da sposa preziosissimo e invidiabile di cui non mi è mai importato nulla fino all’estate del 2011, quando ne ho preso una parte e arredato la mia nuova casa. Questo corredo è stato realizzato tutto da sapienti artigiane del filo: lenzuola ricamate a mano, asciugamani tessute al telaio con filo di canapa e bordate all’uncinetto, centrotavola e centrini, tovaglie con ricami che sembrano pitture e così via. Una fortuna, insomma!

Quando ora mi ritrovo tra le mani quelle misere stoffe di cotone che pizzicano al tatto o quando adopero gli asciugamani che si bagnano nel giro di un solo uso, sorrido e mi dico che sono fortunata perché posso usufruire di materiali pregiati e lavorazioni artistiche che arricchiscono la mia vita domestica, la rendono confortevole.

Questa è la tradizione che mi ha preceduto. L’ho scoperta come dicevo, dai 29 anni in poi. Nonostante la presenza in casa di mia madre che destreggiava bene il ricamo, il cucito, la maglia, il disegno d’interni, io continuavo a sfogliare solo i libri con le dita. Poi un giorno mia madre se n’è andata da questa terra e a me è rimasto questo patrimonio inestimabile che ancora non sapevo valorizzare.

Come fu che imparai l’uncinetto

Un giorno di ottobre mi recai da una mia amica che amava la creatività: cuciva, faceva la maglia, decorava la casa con oggetti frutto della sua fantasia; mi dissi che lei un pezzo di tela aida ce l’avrebbe avuta sicuramente; e anche un ago. Mi vergognavo. Ci pensai qualche giorno prima di compiere l’azione. Mi dicevo: “Che penserà di me? Son laureata! Che c’entro io con il ricamo?!” Pian piano dissi a me stessa che non c’era niente di male, o perlomeno che le avrei chiesto di non dirlo a nessuno. E così ottenni il mio pezzo di tela, il mio ago e una matassina di filo. E iniziai.

Nel giro di 3 mesi passai dal punto croce, alla maglia, fino a ritrovarmi con un uncinetto in mano. A gennaio avevo già regalato le prima sciarpe all’uncinetto  avevo fatto un paio di maglioni ai ferri e svariati ricami a punto croce per i regalini di Natale. Compravo riviste, leggevo manuali e mi esercitavo. Mi piaceva da matti e a giudicare dai risultati sembravo bravina… Quando mi accorsi che avevo imparato erano passati 6 mesi e avevo la precisa intenzione di continuare.

Quando lo scoprì mia nonna rise di gusto per mezz’ora  Quando le feci vedere il mio primo lavoro all’uncinetto (e glielo feci vedere perché avevo fatto un borsellino a cui non sapevo applicare la cerniera e meditavo di chiederle la cortesia), me lo strappò dalle mani incredula! E mi chiese: “Chi ti ha insegnato?” Avrei voluto dirle (se solo ne fossi stata consapevole già allora…): “Tutta la famiglia!”

Da allora la mia passione è cresciuta, tra alti e bassi, tra esperienza positive e negative, tra risultati buoni e meno buoni; ma mai ho pensato di aver sbagliato a chiedere quel pezzo di stoffa.

1 commento
  1. Irene
    Irene dice:

    La tua storia “a lieto fine” mi ha fatto piangere. Molto.
    Ho inutilmente cercato di insegnare a mia figlia uncinetto, maglia, ricamo e cucito. Anche se è bravissima con le mani e una persona creativa in genere, non ha mai avuto la pazienza di sorpassare quei primi passi che sembrano difficili e noiosi.
    Non vorrei che dovessi prima morire perché lei riscopra queste cose. Vorrei godere il farle in comune con lei ora che sono ancora viva, che le mie dita non sono ancora artirtiche, che il mio cervello funziona.
    Per carità, non lo dico per farti sentire in colpa. Così è successo, è la vita. Gli adolescenti e giovani adulti hanno tendenza a rifiutare tutto ciò che viene dai “grandi”, vogliono la libertà di fare cose diverse, trovare la propria identità in modo autonomo. Lo capisco ed è anche giusto che sia così, per la maggior parte delle cose. Ma d’altro canto è pure un peccato, Le occasioni perse di stare insieme, divertirsi, condividere, sentirsi ancora più vicine, far passare le conoscenze, i piccoli trucchi, le tradizioni, la continuità, da generazione a generazione. Quando io un giorno morirò, forse mia figlia imparerà queste cose da youtube, o da un libro. O forse dovrei fare anch’io dei video, sperando che restino nel tempo e che li ritrovi un giorno. Ma comunque non è lo stesso.
    Scusa per lo sfogo…

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